Vi racconto mamma Natuzza

La statua del Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime e mamma Natuzza


Preghiera al Cuore Immacolato di Maria 
Rifugio delle anime
per ottenere grazie in estremo bisogno

Insieme a Natuzza... 

al Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle anime[*]

"O Cuore Immacolato di Maria

fa che mi cibi sempre

del Corpo immacolato di Gesù

Salvatore per la conversione

dei poveri peccatori".

Per ottenere grazie in estremo bisogno


O mamma del cielo, dispensatrice di grazie, sollievo dei cuori afflitti, conforto degli abbandonati, speranza di chi dispera. Gettata nella più desolante angustia, sono venuta a prostrarmi ai tuoi piedi per essere da Te consolata.

Mi respingerai forse? Ah! Non ci credo che hai il coraggio di mandarmi indietro. Il Tuo cuore di Mamma di misericordia spero che mi esaudirà! Povera me se Tu non ci mettessi la Tua mano. Io sarei certamente perduta!

Tanti e tanti vedendomi così afflitta mi hanno detto: "Se vuoi la grazia in questa circostanza devi andare a pregare la Madonna, alla quale chiunque ricorre per grazia indubbiamente l'ottiene". Io ho pensato che la Madonna delle Grazie fossi Tu, o Cuore Immacolato di Maria Rifugio di tutte le anime, al cui nome potente si rallegrano i cieli e l'universo intero ti chiama e ti invoca Mamma di ogni grazia. Da quando sono nata io ho sentito sempre parlare che Tu a tutto il mondo fai grazie. E a me no? Io la voglio. A forza!

E per questo io - nonostante fossi una povera ed indegna peccatrice - nella tribolazione che mi opprime ho avuto il pensiero di venire a piangere da Te. E coi gemiti, coi sospiri e con le lacrime che mi piovono dagli occhi, a Te grido, a Te alzo le mani stringendo la tua corona, invocandoti, o gran Regina, consolatrice delle anime, tesoreria e dispensatrice di tutte le grazie, avvocata delle grazie più ardue, difficili e disperate.

Io sono venuta sicura. Non mi cacciare, ascoltami. Consolami e salvami, voglio da Te assolutamente la sospirata grazia...   La voglio!

Perdonami se approfitto della Tua bontà.

Oh me, la povera afflitta! Se sola sola, ad esempio, unica al mondo non riceverò la grazia sospirata! O Madonna Santa, tutta piena di Grazie, io ho tutta la speranza che Tu mi fai la grazia. Da Te l'aspetto, che sei la Mamma di tutte le grazie. Sono sicura che Tu me la fai. Come farò se Tu non me la fai?

No! Non permettere che esca la voce che Tu abbandoni e non aiuti più i tuoi figli. Pure io sono una figlia! Né che si dica che una indegna tua figlia, avendoti pregato con lacrime ed afflizione, dall'afflittissimo suo cuore, non l'hai voluta mai sentire né liberare, mentre tanti, senza numero, sono ricorsi e ricorrono ogni giorno al Tuo Cuore Immacolato e sperimentano la potenza del Tuo amore e senza ritardo ne ottengono le sospirate grazie. Ed io sola devo piangere in questa grande tribolazione?

Ah! No. Non te lo permetto! O mi neghi qui ai Tuoi piedi che sei la Mamma di misericordia e la dispensatrice di tutte le grazie, o mi concedi senz'altro la sospirata grazia. E se Tu non mi ascolterai, senti che farò io, o Mamma di grazie.

Inginocchiata dinanzi a Te, stringendo la Tua Corona, Ti strapperò il manto, Ti stringerò le mani, Ti bacerò i piedi, Te li bagnerò di lacrime e tanto starò e tanto piangerò gridando, fino a quando Tu intenerita e commossa mi dirai: "Alzati, che la grazia, Gesù, te l'ha fatta". E me lo devi dire!

E ora che hai sentito quello che ti farò, che mi dici, o Mamma mia, che mi rispondi? Mi devi aiutare, me la devi fare questa grazia, pure che sono peccatrice. Se non vuoi farmela, perché peccatrice, dimmi almeno da chi devo andare per essere consolata in questo mio grande dolore.

Se non fosti abbastanza potente mi rassegnerei dicendo: "Tu sei la mamma mia, mi ami, ma non puoi aiutarmi e salvarmi". Se non fosti la mamma mia, con ragione direi: "Tu non sei la mamma mia, non sono tua figlia, quindi non hai il dovere di aiutarmi". Ma Tu sei la mamma mia e di tutto il mondo! Se vuoi mi puoi aiutare. Me la devi fare questa grazia. A forza!

Sono certa che me la farai, perché Tu sei buona e non me la puoi negare. L'aspetto questa grazia, l'attendo da quella Tua bocca che solamente si apre quando ha da pronunciare una grazia, la desidero da quella fronte, da quel seno, da quei piedi, da quel Tuo benedetto e materno cuore, tutto pieno di grazie, rifugio delle anime.

Grazie ti cerco, o Mamma mia. Fammi la grazia che ti cerco. Te la chiedo con tutto il cuore, te la chiedo con la voce di tutti i bambini del mondo che sono anime innocenti, di tutti gli innamorati, di tutti i figli tuoi devoti. Da Te dunque l'aspetto e Tu me l'hai da fare a forza. E ti prometto, o Mamma dal Cuore tenerissimo, che fino a quando la mia mente avrà pensieri, la mia lingua mi accenta, il mio cuore mi palpita, sempre, sempre griderò a Te, e nelle ore del giorno e in quelle della notte ti sentirai chiamare piangendo: Mamma! Quel grido, o Mamma, sarà il mio sospiro.

Restiamo così, o Mamma santa? Sì, restiamo così! Affinché dopo tante lacrime e sospiri versati ai tuoi piedi potrò venire a ringraziarti per la grazia speciale da Te fatta. Così sia.


Alla fine di questa supplica si recitano una Salve regina e un'Ave Maria per l'intenzione di chi l'ha fatta stampare.

"Purifica, o Gesù i nostri cuori,

benedici e santifica ogni nostra intenzione,

ridona alle anime nostre

  il candore immacolato dei gigli".


Questa preghiera è nata dal cuore della Serva di Dio Natuzza Evolo, all'età di nove anni, in un momento di estremo bisogno e una sua amica, ascoltandola, dato che lei non sapeva né leggere né scrivere, l'ha messa per iscritto.

[*] © Copyright - Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle anime, via Umberto I, 153 - 89852 Paravati (V.V.)



San Giuseppe Moscati e la Serva di Dio Natuzza Evolo
 

di Francesco Domina©

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San Giuseppe Moscati e Natuzza Evolo

18/04/2021 (III Domenica di Pasqua)

    Tra tutte le storie davvero suggestive e degne di nota che avvolgono la figura di Natuzza Evolo, la Mistica di Paravati, va ricordato il rapporto che Ella ha avuto con il grande santo medico Giuseppe Moscati. È per questo che voglio riportare un episodio narrato dal professore Marinelli, grande studioso della figura di Natuzza, a cui ho scritto, dopo una sua richiesta, una mia testimonianza che  è stata inserita in uno dei suoi volumi.

San Giuseppe Moscati oggi è conosciuto in tutto il mondo per virtù della sua intercessione e della Carità che esercitava presso i suoi malati: Egli infatti era un medico.


"Il Beato Giuseppe Moscati (1880-1927) le apparve più volte. La prima volta che lo vide, Natuzza fu particolarmente colpita dalla sua bellezza, e gli chiese: "Professore, perché siete così bello?".

Al che il Beato le rispose: "Perché sono vicino alla Madonna e perché nella mia vita ho praticato la Carità umile e nascosta, che non offendeva nessuno".

(Valerio Marinelli, Natuzza di Paravati, Mapograf - ed. Associazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime, Vibo Valentia 1980, vol. I, p.142.



Giuseppe Moscati, laico (1880-1927) 
- Biografia -
 

    Giuseppe Moscati nacque il 25 luglio 1880 a Benevento, settimo tra i nove figli del magistrato Francesco Moscati e di Rosa De Luca, dei marchesi di Roseto. Fu battezzato il 31 luglio 1880.  
Nel 1881 la famiglia Moscati si trasferí ad Ancona e poi a Napoli, ove Giuseppe fece la sua prima comunione nella festa dell'Immacolata del 1888. Dal 1889 al 1894 Giuseppe compì i suoi studi ginnasiali e poi quelli liceali al " Vittorio Emanuele ", conseguendovi con voti brillanti la licenza liceale nel 1897, all'etá di appena 17 anni. Pochi mesi dopo, cominciò gli studi universitari presso la facoltà di medicina dell'Ateneo partenopeo.

E' possibile che la decisione di scegliere la professione medica sia stata in parte influenzata dal fatto che negli anni dell'adolescenza Giuseppe si era confrontato, in modo diretto e personale, con il dramma della sofferenza umana. Nel 1893, infatti, suo fratello Alberto, tenente di artiglieria, fu portato a casa dopo aver subito un trauma inguaribile in seguito ad una caduta da cavallo. Per anni Giuseppe prodigò le sue cure premurose al fratello tanto amato, e allora dovette sperimentare la relativa impotenza dei rimedi umani e l'efficacia dei conforti religiosi, che soli possono darci la vera pace e serenità. È comunque un fatto che, fin dalla più giovane età, Giuseppe Moscati dimostra una sensibilità acuta per le sofferenze fisiche altrui; ma il suo sguardo non si ferma ad esse: penetra fino agli ultimi recessi del cuore umano. Vuole guarire o lenire le piaghe del corpo, ma è, al tempo stesso, profondamente convinto che anima e corpo sono tutt'uno e desidera ardentemente di preparare i suoi fratelli sofferenti all'opera salvifica del Medico Divino.

Il 4 agosto 1903, Giuseppe Moscati conseguì la laurea in medicina con pieni voti e diritto alla stampa, coronando così in modo degno il " curriculum " dei suoi studi universitari. A distanza di cinque mesi dalla laurea, il dottor Moscati prende parte al concorso pubblico indetto per l'ufficio di assistente ordinario negli Ospedali Riuniti di Napoli; quasi contemporaneamente sostiene un altro concorso per coadiutore straordinario negli stessi ospedali, a base di prove e titoli. Nel primo dei concorsi, su ventun classificati, riesce secondo; nell'altro riesce primo assoluto, e ciò in modo così trionfale che - come si legge in un giudizio qualificato - " fece sbalordire esaminatori e compagni ".

Dal 1904 il Moscati presta servizio di coadiutore all'ospedale degl'Incurabili, a Napoli, e fra l'altro organizza l'ospedalizzazione dei colpiti di rabbia e, mediante un intervento personale molto coraggioso, salva i ricoverati nell'ospedale di Torre del Greco, durante l'eruzione del Vesuvio nel 1906.

Negli anni successivi Giuseppe Moscati consegue l'idoneità, in un concorso per esami, al servizio di laboratorio presso l'ospedale di malattie infettive " Domenico Cotugno ". Nel 1911 prende parte al concorso pubblico per sei posti di aiuto ordinario negli Ospedali Riuniti e lo vince in modo clamoroso. Si succedono le nomine a coadiutore ordinario, negli ospedali e poi, in seguito al concorso per medico ordinario, la nomina a direttore di sala, cioè a primario. Durante la prima guerra mondiale è direttore dei reparti militari negli Ospedali Riuniti. A questo " curriculum " ospedaliero si affiancano le diverse tappe di quello universitario e scientifico: dagli anni universitari fino al 1908, il Moscati è assistente volontario nel laboratorio di fisiologia; dal 1908 in poi è assistente ordinario nell'Istituto di Chimica fisiologica. Consegue per concorso un posto di studio nella stazione zoologica. In seguito a concorso viene nominato preparatore volontario della III Clinica Medica, e preposto al reparto chimico fino al 1911. Contemporaneamente, percorre i diversi gradi dell'insegnamento.

Nel 1911 ottiene, per titoli, la Libera Docenza in Chimica fisiologica; ha l'incarico di guidare le ricerche scientifiche e sperimentali nell'Istituto di Chimica biologica. Dal 1911 insegna, senza interruzioni, " Indagini di laboratorio applicate alla clinica " e " Chimica applicata alla medicina ", con esercitazioni e dimostrazioni pratiche. A titolo privato, durante alcuni anni scolastici, insegna a numerosi laureati e studenti semeiologia e casuistica ospedaliera, clinica e anatomo-patologica. Per vari anni accademici espleta la supplenza nei corsi ufficiali di Chimica fisiologica e Fisiologia. Nel 1922, consegue la Libera Docenza in Clinica Medica generale, con dispensa dalla lezione o dalla prova pratica ad unanimità di voti della commissione.

Celebre e ricercatissimo nell'ambiente partenopeo quando è ancora giovanissimo, il professor Moscati conquista ben presto una fama di portata nazionale ed internazionale per le sue ricerche originali, i risultati delle quali vengono da lui pubblicati in varie riviste scientifiche italiane ed estere. Queste ricerche di pioniere, che si concentrano specialmente sul glicogeno ed argomenti collegati, assicurano al Moscati un posto d'onore fra i medici ricercatori della prima metà del nostro secolo.

Non sono tuttavia unicamente e neppure principalmente le doti geniali ed i successi clamorosi del Moscati - la sua sicura metodologia innovatrice nel campo della ricerca scientifica, il suo colpo d'occhio diagnostico fuori del comune - che suscitano la meraviglia di chi lo avvicina. Più di ogni altra cosa è la sua stessa personalità che lascia un'impressione profonda in coloro che lo incontrano, la sua vita limpida e coerente, tutta impregnata di fede e di carità verso Dio e verso gli uomini. Il Moscati è uno scienziato di prim'ordine; ma per lui non esistono contrasti tra la fede e la scienza: come ricercatore è al servizio della verità e la verità non è mai in contraddizione con se stessa né, tanto meno, con ciò che la Verità eterna ci ha rivelato. L'accettazione della Parola di Dio non è, d'altronde, per il Moscati un semplice atto intellettuale, astratto e teorico: per lui la fede è, invece, la sorgente di tutta la sua vita, l'accettazione incondizionata, calda ed entusiasta della realtà del Dio personale e dei nostri rapporti con lui. Il Moscati vede nei suoi pazienti il Cristo sofferente, lo ama e lo serve in essi. È questo slancio di amore generoso che lo spinge a prodigarsi senza sosta per chi soffre, a non attendere che i malati vadano a lui, ma a cercarli nei quartieri più poveri ed abbandonati della città, a curarli gratuitamente, anzi, a soccorrerli con i suoi propri guadagni. E tutti, ma in modo speciale coloro che vivono nella miseria, intuiscono ammirati la forza divina che anima il loro benefattore. Così il Moscati diventa l'apostolo di Gesù: senza mai predicare, annuncia, con la sua carità e con il modo in cui vive la sua professione di medico, il Divino Pastore e conduce a lui gli uomini oppressi e assetati di verità e di bontà. Mentre gli anni progrediscono, il fuoco dell'amore sembra divorare Giuseppe Moscati. L'attività esterna cresce costantemente, ma si prolungano pure le sue ore di preghiera e si interiorizzano progressivamente i suoi incontri con Gesù sacramentato. 

Quando, il 12 aprile 1927, il Moscati muore improvvisamente, stroncato in piena attività, a soli 46 anni, la notizia del suo decesso viene annunciata e propagata di bocca in bocca con le parole: " È morto il medico santo ". Queste parole, che riassumono tutta la vita del Moscati, ricevono oggi il suggello ufficiale della Chiesa.

Il Prof. Giuseppe Moscati è stato beatificato da S. S. Paolo VI nel corso dell'Anno Santo, il 16 novembre 1975.

Fonte:

https://www.vatican.va/news_services/liturgy/saints/ns_lit_doc_19871025_moscati_it.html




di Francesco Domina©

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Mamma Natuzza

02/04/2021 (Venerdì Santo)


     Era un giorno del mese di settembre del 1997 quando incontrai Natuzza per la prima volta. Prima di allora ne avevo solo sentito parlare a mia zia Francesca e guardato dei servizi di Pino Nano che parlava della sua figura e di tutte le cose strane che accadevano intorno a questa donna umile e semplice.  Quel giorno di settembre non avrei mai immaginato di recarmi da lei; non avrei mai immaginato che da quel momento in poi Natuzza sarebbe entrata definitivamente nella mia vita per non lasciarmi mai più; non avrei mai immaginato che da allora avrei chiamato questa Donna mamma.


Ho deciso di parlare di Natuzza spinto da una forza irresistibile, comprendendo bene che quello che dico è solo frutto della mia esperienza personale.

Tuttavia, come dice la Scrittura, c'è un tempo per tacere, ma c'è anche un tempo per parlare.


"Quello che le mie mani hanno toccato quello che i miei occhi hanno visto questo vi voglio raccontare". (Cf. 1 Gv 1,1-3)


Cara mamma Natuzza come posso dimenticare quando, uscendo dalla tua porta, mi hai preso per le mani? Era la prima volta che ti vedevo! O quando ho visto e ho sentito, toccato la morbidezza di quella tua mano che mi sfiorava e con i tuoi occhi mi raccontavi tutto?

Era il 9 di novembre del 1997 quando mamma Natuzza ci ha chiesto, ero insieme a mio fratello, se volevamo diventare sui figli spirituali. 

Quel giorno ero pressoché un ragazzo e non compresi le sue parole, le compresi successivamente quando dopo mesi mi ritrovai a formare dei gruppi di preghiera (I Cenacoli) senza che io avessi mai pregato.

In questo giorno, il 2 aprile 2021, Venerdì Santo vogliamo dare vita ad una nuova pagina dedicata alla carissima mamma Natuzza.

In questo giorno ricorre anche la memoria di S. Francesco da Paola, il Patrono della Calabria e grande amico e protettore di Natuzza. S. Francesco da Paola è morto proprio il 2 aprile del 1507, era un Venerdì Santo.


La Serva di Dio Natuzza Evolo

San Francesco Da Paola

La sua vita fu uno stupore continuo sin dalla nascita, infatti Francesco nacque il 27 marzo 1416 da una coppia di genitori già avanti negli anni, il padre Giacomo Alessio detto "Martolilla" e la madre Vienna di Fuscaldo, durante i quindici anni di matrimonio già trascorsi, avevano atteso invano la nascita di un figlio, per questo pregavano s. Francesco, il 'Poverello' di Assisi, di intercedere per loro e inaspettatamente alla fine il figlio arrivò.Riconoscenti i giubilanti genitori lo chiamarono Francesco; il santo di Assisi intervenne ancora nella vita di quel bimbo nato a Paola, cittadina calabrese sul Mar Tirreno in provincia di Cosenza; dopo appena un mese si scoprì che era affetto da un ascesso all'occhio sinistro che si estese fino alla cornea, i medici disperavano di salvare l'occhio.La madre fece un voto a s. Francesco, di tenere il figlio in un convento di Frati Minori per un intero anno, vestendolo dell'abito proprio dei Francescani, il voto dell'abito è usanza ancora esistente nell'Italia Meridionale. Dopo qualche giorno l'ascesso scomparve completamente.
Fu allevato senza agi, ma non mancò mai il necessario; imparò a leggere e scrivere verso i 13 anni, quando i genitori volendo esaudire il voto fatto a s. Francesco, lo portarono al convento dei Francescani di San Marco Argentano, a nord di Cosenza.In quell'anno l'adolescente rivelò subito doti eccezionali, stupiva i frati dormendo per terra, con continui digiuni e preghiera intensa e già si cominciava a raccontare di prodigi straordinari, come quando assorto in preghiera in chiesa, si era dimenticato di accendere il fuoco sotto la pentola dei legumi per il pranzo dei frati, allora tutto confuso corse in cucina, dove con un segno di croce accese il fuoco di legna e dopo pochi istanti i legumi furono subito cotti.Un'altra volta dimenticò di mettere le carbonelle accese nel turibolo dell'incenso, alle rimostranze del sacrestano andò a prenderle ma senza un recipiente adatto, allora le depose nel lembo della tonaca senza che la stoffa si bruciasse.
Trascorso l'anno del voto, Francesco volle tornare a Paola fra il dispiacere dei frati e d'accordo con i genitori intrapresero insieme un pellegrinaggio ad Assisi alla tomba di s. Francesco, era convinto che quel viaggio gli avrebbe permesso d'individuare la strada da seguire nel futuro.Fecero tappe a Loreto, Montecassino, Monteluco e Roma, nella 'Città eterna' mentre camminava per una strada, incrociò una sfarzosa carrozza che trasportava un cardinale pomposamente vestito, il giovanetto non esitò e avvicinatosi rimproverò il cardinale dello sfarzo ostentato; il porporato stupito cercò di spiegare che era necessario per conservare la stima e il prestigio della Chiesa agli occhi degli uomini.Nella tappa di Monteluco, Francesco poté conoscere in quell'eremo fondato nel 528 da s. Isacco, un monaco siriano fuggito in Occidente, gli eremiti che occupavano le celle sparse per la montagna; fu molto colpito dal loro stile di vita, al punto che tornato a Paola, appena tredicenne e in netta opposizione al dire del cardinale romano, si ritirò a vita eremitica in un campo che apparteneva al padre, a quasi un chilometro dal paese, era il 1429.Si riparò prima in una capanna di frasche e poi spostandosi in altro luogo in una grotta, che egli stesso allargò scavando il tufo con una zappa; detta grotta è oggi conservata all'interno del Santuario di Paola; in questo luogo visse altri cinque anni in penitenza e contemplazione.La fama del giovane eremita si sparse nella zona e tanti cominciarono a raggiungerlo per chiedere consigli e conforto; lo spazio era poco per questo via vai, per cui Francesco si spostò di nuovo più a valle costruendo una cella su un terreno del padre; dopo poco tempo alcuni giovani dopo più visite, gli chiesero di poter vivere come lui nella preghiera e solitudine.Così nel 1436, con una cappella e tre celle, si costituì il primo nucleo del futuro Ordine dei Minimi; la piccola Comunità si chiamò "Eremiti di frate Francesco".Prima di accoglierli, Francesco chiese il permesso al suo vescovo di Cosenza mons. Bernardino Caracciolo, il quale avendo conosciuto il carisma del giovane eremita acconsentì; per qualche anno il gruppo visse alimentandosi con un cibo di tipo quaresimale, pane, legumi, erbe e qualche pesce, offerti come elemosine dai fedeli; non erano ancora una vera comunità ma pregavano insieme nella cappella a determinate ore.Fu in seguito necessario allargare gli edifici e nel 1452 Francesco cominciò a costruire la seconda chiesa e un piccolo convento intorno ad un chiostro, tuttora conservati nel complesso del Santuario.
Durante i lavori di costruzione Francesco operò altri prodigi, un grosso masso che stava rotolando sugli edifici venne fermato con un gesto del santo e ancora oggi esiste sotto la strada del Santuario; entrò nella fornace per la calce a ripararne il tetto, passando fra le fiamme e rimanendo illeso; inoltre fece sgorgare una fonte con un tocco del bastone, per dissetare gli operai, oggi è chiamata "l'acqua della cucchiarella", perché i pellegrini usano attingerne con un cucchiaio.Ormai la fama di taumaturgo si estendeva sempre più e il papa Paolo II (1464-1471), inviò nel 1470 un prelato a verificare; giunto a Paola fu accolto da Francesco che aveva fatto portare un braciere per scaldare l'ambiente; il prelato lo rimproverò per l'eccessivo rigore che professava insieme ai suoi seguaci e allora Francesco prese dal braciere con le mani nude, i carboni accesi senza scottarsi, volendo così significare se con l'aiuto di Dio si poteva fare ciò, tanto più si poteva accettare il rigore di vita.La morte improvvisa del papa nel 1471, impedì il riconoscimento pontificio della Comunità, che intanto era stata approvata dal vescovo di Cosenza Pirro Caracciolo; il consenso pontificio arrivò comunque tre anni più tardi ad opera del nuovo papa Sisto IV (1471-1484).Secondo la tradizione, uno Spirito celeste, forse l'arcangelo Michele, gli apparve mentre pregava, tenendo fra le mani uno scudo luminoso su cui si leggeva la parola "Charitas" e porgendoglielo disse: "Questo sarà lo stemma del tuo Ordine".La fama di questo monaco dalla grossa corporatura, con barba e capelli lunghi che non tagliava mai, si diffondeva in tutto il Sud, per cui fu costretto a muoversi da Paola per fondare altri conventi in varie località della Calabria.Gli fu chiesto di avviare una comunità anche a Milazzo in Sicilia, pertanto con due confratelli si accinse ad attraversare lo Stretto di Messina, qui chiese ad un pescatore se per amor di Dio l'avesse traghettato all'altra sponda, ma questi rifiutò visto che non potevano pagarlo; senza scomporsi Francesco legò un bordo del mantello al bastone, vi salì sopra con i due frati e attraversò lo Stretto con quella barca a vela improvvisata.Il miracolo fra i più clamorosi di quelli operati da Francesco, fu in seguito confermato da testimoni oculari, compreso il pescatore Pietro Colosa di Catona, piccolo porto della costa calabra, che si rammaricava e non si dava pace per il suo rifiuto.Risanava gli infermi, aiutava i bisognosi, 'risuscitò' il suo nipote Nicola, giovane figlio della sorella Brigida, anche suo padre Giacomo Alessio, rimasto vedovo entrò a far parte degli eremiti, diventando discepolo di suo figlio fino alla morte.Francesco alzava spesso la voce contro i potenti in favore degli oppressi, le sue prediche e invettive erano violente, per cui fu ritenuto pericoloso e sovversivo dal re di Napoli Ferdinando I (detto Ferrante) d'Aragona, che mandò i suoi soldati per farlo zittire, ma essi non poterono fare niente, perché il santo eremita si rendeva invisibile ai loro occhi; il re alla fine si calmò, diede disposizione che Francesco poteva aprire quanti conventi volesse, anzi lo invitò ad aprirne uno a Napoli (un'altro era stato già aperto nel 1480 a Castellammare di Stabia.
A Napoli giunsero due fraticelli che si sistemarono in una cappella campestre, là dove poi nel 1846 venne costruita la grande, scenografica, reale Basilica di S. Francesco da Paola, nella celebre Piazza del Plebiscito.Intanto si approssimava una grande, imprevista, né desiderata svolta della sua vita; nel 1482 un mercante italiano, di passaggio a Plessis-les-Tours in Francia, dove risiedeva in quel periodo il re Luigi XI (1423-1482), gravemente ammalato, ne parlò ad uno scudiero reale, che informò il sovrano.Il re inviò subito un suo maggiordomo in Calabria ad invitare il santo eremita, affinché si recasse in Francia per aiutarlo, ma Francesco rifiutò, nonostante che anche il re di Napoli Ferrante appoggiasse la richiesta.Allora il re francese si rivolse al papa Sisto IV, il quale per motivi politici ed economici, non voleva scontentare il sovrano e allora ordinò all'eremita di partire per la Francia, con grande sgomento e dolore di Francesco, costretto a lasciare la sua terra e i suoi eremiti ad un'età avanzata, aveva 67 anni e malandato in salute.Nella sua tappa a Napoli, fu ricevuto con tutti gli onori da re Ferrante I, incuriosito di conoscere quel frate che aveva osato opporsi a lui; il sovrano assisté non visto ad una levitazione da terra di Francesco, assorto in preghiera nella sua stanza; poi cercò di conquistarne l'amicizia offrendogli un piatto di monete d'oro, da utilizzare per la costruzione di un convento a Napoli.Si narra che Francesco presone una la spezzò e ne uscì del sangue e rivolto al re disse: "Sire questo è il sangue dei tuoi sudditi che opprimi e che grida vendetta al cospetto di Dio", predicendogli anche la fine della monarchia aragonese, che avvenne puntualmente nei primi anni del 1500.Sempre vestito del suo consunto saio e con in mano il rustico bastone, fu ripreso di nascosto da un pittore, incaricato dal re di fargli un ritratto, che è conservato nella Chiesa dell'Annunziata a Napoli, mentre una copia è nella Chiesa di S. Francesco da Paola ai Monti in Roma; si ritiene che sia il dipinto più somigliante quando Francesco aveva 67 anni.Passando per Roma andò a visitare il pontefice Sisto IV (1471-1484), che lo accolse cordialmente; nel maggio 1489 arrivò al castello di Plessis-du-Parc, dov'era ammalato il re Luigi XI, nel suo passaggio in terra francese liberò Bormes e Frejus da un'epidemia.
A Corte fu accolto con grande rispetto, col re ebbe numerosi colloqui, per lo più miranti a far accettare al sovrano l'ineluttabilità della condizione umana, uguale per tutti e per quante insistenze facesse il re di fare qualcosa per guarirlo, Francesco rimase coerentemente sulla sua posizione, giungendo alla fine a convincerlo ad accettare la morte imminente, che avvenne nel 1482, dopo aver risolto le divergenze in corso con la Chiesa.Dopo la morte di Luigi XI, il frate che viveva in una misera cella, chiese di poter ritornare in Calabria, ma la reggente Anna di Beaujeu e poi anche il re Carlo VIII (1470-1498) si opposero; considerandolo loro consigliere e direttore spirituale.Giocoforza dovette accettare quest'ultimo sacrificio di vivere il resto della sua vita in Francia, qui promosse la diffusione del suo Ordine, perfezionò la Regola dei suoi frati "Minimi", approvata definitivamente nel 1496 da papa Alessandro VI, fondò il Secondo Ordine e il Terzo riservato ai laici, iniziò la devozione dei Tredici Venerdì consecutivi.Francesco morì il 2 aprile 1507 a Plessis-les-Tours, vicino Tours dove fu sepolto, era un Venerdì Santo ed aveva 91 anni e sei giorni.Già sei anni dopo papa Leone X nel 1513 lo proclamò beato e nel 1519 lo canonizzò; la sua tomba diventò meta di pellegrinaggi, finché nel 1562 fu profanata dagli Ugonotti che bruciarono il corpo; rimasero solo le ceneri e qualche pezzo d'osso.Queste reliquie subirono oltraggi anche durante la Rivoluzione Francese; nel 1803 fu ripristinato il culto. Dopo altre ripartizioni in varie chiese e conventi, esse furono riunite e dal 1935 e 1955 si trovano nel Santuario di Paola; dopo quasi cinque secoli il santo eremita ritornò nella sua Calabria di cui è patrono, come lo è di Paola e Cosenza.Nel 1943 papa Pio XII, in memoria della traversata dello Stretto, lo nominò protettore della gente di mare italiana. Quasi subito dopo la sua canonizzazione, furono erette in suo onore basiliche reali a Parigi, Torino, Palermo e Napoli e il suo culto si diffuse rapidamente nell'Italia Meridionale, ne è testimonianza l'afflusso continuo di pellegrini al suo Santuario, eretto fra i monti della costa calabra che sovrastano Paola, sui primi angusti e suggestivi ambienti in cui visse e dove si sviluppò il suo Ordine dei 'Minimi'.

Autore: Antonio Borrelli

La vita

     Fortunata Evolo, "Mamma Natuzza" come la chiamava chi la conosceva, era nata, in Calabria, a Paravati il 23 agosto 1924, in una realtà desolata e povera dove la crisi agricola che interessava tutto il Sud costringeva molti ad emigrare. Tra questi c'era il padre, Fortunato Evolo, partito per l'Argentina a un mese dalla sua nascita e mai più tornato.Per questo l'infanzia di Natuzza è stata molto difficile; spesso in casa non c'era nulla da mangiare, neppure un pezzo di pane.Inoltre la gente mormorava: "Come può la madre di Natuzza, da sola, crescere tutti quei figli nati dopo la partenza del marito?".Fin da piccolissima, Natuzza sviluppa un istinto protettivo non solo verso i fratelli, di cui riesce a prendersi cura perfettamente durante le assenze della mamma, ma anche verso tutti i piccoli amici.All'età di 5-6 anni iniziarono per lei una serie di visioni e altri inspiegabili fenomeni come i primi contatti con quella realtà soprannaturale che ne avrebbe pervaso l'intera esistenza, anche se, come molti anni dopo spiegherà lei stessa ai suoi padri spirituali, non aveva capito che quella bella ragazza che le appariva era la Madonna, mentre aveva sempre sospettato che quel bambino bellissimo che giocava con lei e con i suoi fratellini fosse Gesù.Quando riceve il Sacramento dell'Eucarestia, la bocca le si riempie di sangue; è il primo segno di quelle sofferenze mistiche che cominceranno a manifestarsi di lì a poco sul suo corpo.Su segnalazione di Vincenzo Cirianni, un massaro di buon cuore, arrivò alla ragazzina la provvidenziale offerta dell'avvocato Silvio Colloca, un affermato professionista della vicina Mileto, il quale aveva bisogno di una collaboratrice domestica per la moglie, Alba.
Natuzza avrebbe avuto vitto e alloggio, più una modesta paga con cui poter aiutare i familiari. Ed è in questa casa che si accentueranno i fenomeni della visione dei defunti, della bilocazione e dei dialoghi con l'Angelo Custode al punto che Natuzza comunica "messaggi" inauditi e impossibili per un'analfabeta.A far precipitare gli eventi in questa direzione, subentra un fatto nuovo: la Madonna dice a Natuzza che il 26 luglio farà la "morte apparente".Era il 26 luglio del 1938. Natuzza non comprende il significato della parola "apparente" e avvisa la signora Alba che finalmente raggiungerà il suo Gesù.Cadrà in un lungo sonno che durerà sette ore, attorniata da tanti medici, che erano là ad aspettare la morte...Racconterà, al suo risveglio, che si è trovata in Paradiso, al cospetto di Gesù che le chiese di dividersi i compiti: portare a Lui le anime. Amare e compatire. Amare e soffrire.È il giorno della promessa, il giorno più bello della sua vita, che la segnerà per sempre. Quell'incontro sarà la luce e la forza che animerà di amore ogni suo gesto e l'offerta di tutta la sua vita.Il 29 giugno del 1940, festa dei Santissimi Pietro e Paolo, mentre Natuzza riceve dal Vescovo monsignor Paolo Albera il sacramento della Cresima, avverte un brivido profondo in tutto il corpo e qualcosa di gelido scorrerle dietro: sulla sua camicia si era disegnata una grande croce di sangue.Le autorità religiose invitano alla prudenza, mentre la questione viene sottoposta all'attenzione dei medici e dal vescovado di Mileto viene inviata una lettera ad Agostino Gemelli che liquida sbrigativamente la questione consigliando l'isolamento in una casa di cura. Andrà a Reggio Calabria, dove resterà sott'osservazione del Professore Puca per due mesi.All'uscita dall'ospedale psichiatrico Natuzza si unisce in matrimonio con Pasquale Nicolace nella chiesa di Santa Maria degli Angeli. 
Natuzza diventerà madre di 5 figli e, diversamente da quanto diagnosticato dal medico, le manifestazioni del sacro continueranno a verificarsi come prima del ricovero e delle cure.La vita di Natuzza è stata semplice e umile, povera e nascosta, ma allo stesso tempo straordinaria, per il nascere e crescere di alcuni fenomeni di cui lei è stata ignara spettatrice e docile strumento.Ha il dono della bilocazione. Vede Gesù, la Madonna, San Francesco di Paola, Padre Pio e altri santi. Vede i defunti e conversa con loro. Ma è la Settimana Santa il periodo in cui le manifestazioni si fanno più intense. Nei giorni che precedono la Pasqua, infatti, la mistica di Paravati rivive sul proprio corpo la Passione del Signore; cade in uno stato di estasi e le stimmate si trasformano a contatto con bende e fazzoletti in testi di preghiere in lingue diverse, ostie ed ostensori, corone di spine e cuori.Natuzza non era mai andata a scuola, non sapeva né leggere né scrivere.Fin da bambina ha avuto il dono di vedere e di parlare con l'angelo custode, un bambino di otto/nove anni, che la guidava e la consigliava nel rispondere in lingue straniere, nel diagnosticare malattie con una terminologia medica che solo una persona colta poteva dare.Fin da ragazza Natuzza capì che la sua missione sarebbe stata quella di dare una parola di conforto alla gente.Riceve per anni centinaia di persone al giorno. Da lei sono passati tutti: colti, ignoranti, potenti, poveri, religiosi e laici, affidandole sofferenze, angustie, invocando conforto e luce. E lei, facendosi carico delle loro sofferenze, ha dato a tutti una parola di conforto, di speranza e di pace, una risposta certa, il sorriso e la gioia.In un passato ormai lontano, l'atteggiamento della Chiesa non era favorevole a Natuzza. Svanirà invece la prudente diffidenza delle autorità ecclesiastiche, di fronte all'ottima impressione ricevuta dalla sua vita umile, povera e obbediente.La tomba di Natuzza è meta di pellegrinaggio. Segno che le sue parole si realizzano quotidianamente: "Quando sarò dall'altra parte farò più rumore".

Fonte: www.fondazionenatuzza.org


Testamento spirituale di Natuzza Evolo
(dettato a Padre Michele Cordiano l'11 febbraio 1998) 


    Non è stata una mia volontà. Io sono la messaggera di un desiderio manifestatomi dalla Madonna nel 1944, quando mi è apparsa nella mia casa dopo che ero andata sposa a Pasquale Nicolace. Quando l'ho vista, le ho detto: "Vergine Santa, come vi ricevo in questa casa brutta?". Lei ha risposto: "Non ti preoccupare, ci sarà una nuova e grande chiesa che si chiamerà Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime e una casa per alleviare le necessità di giovani, di anziani e di quanti altri si troveranno nel bisogno". Allora, ogni volta che io vedevo la Madonna, le chiedevo quando ci sarebbe stata questa nuova casa e la Madonna mi rispondeva: "Ancora non è giunta l'ora per parlare". Quando l'ho vista nel 1986, mi ha detto: "L'ora è giunta". Io, vedendo tutti i problemi delle persone, che non c'è posto dove ricoverarle, ho parlato con alcuni miei amici che conoscevo e con il parroco don Pasquale Barone e allora loro stessi hanno formato questa Associazione. L'Associazione è per me la sesta figlia, la più amata. Allora ero decisa a fare un testamento. Lasciai stare pensando che forse ero una pazza, invece adesso ho riflettuto per volontà della Madonna. Tutti i genitori fanno testamento ai loro figli e io lo voglio fare ai miei figli spirituali. Non voglio fare preferenze per nessuno, per tutti uguale! A me questo testamento sembra buono e bellissimo, non so se a voi piace. In questi anni ho appreso che le cose più importanti e gradite al Signore sono l'umiltà e la carità, l'amore per gli altri e la loro accoglienza, la pazienza, l'accettazione e l'offerta gioiosa al Signore di quello che mi ha sempre chiesto, per amore Suo e delle anime, l'ubbidienza alla Chiesa. 
Ho avuto sempre fiducia nel Signore e nella Madonna, da Loro ho ricevuto la forza di dare un sorriso o una parola di conforto a chi soffre, a chi è venuto a trovarmi e a posare il proprio fardello, che ho presentato sempre alla Madonna, che dispensa grazie a tutti quelli che hanno bisogno. Ho imparato anche che è necessario pregare, con semplicità, umiltà e carità, presentando a Dio le necessità di tutti, vivi e morti. Per questo la "Grande e bella chiesa" dedicata al Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime, sarà innanzitutto casa di Preghiera, rifugio di tutte le anime, luogo per riconciliarsi con Dio, ricco di misericordia e per celebrare il mistero dell'Eucaristia.Ho sempre avuto un'attenzione particolare per i giovani, che sono buoni, ma sbandati, che hanno bisogno di una guida spirituale e di persone, sacerdoti e laici, che gli parlano di tutti gli argomenti, meno di quelli del male. Datevi con amore, con gioia, con carità e affetto per amore degli altri. Operate con opere di misericordia.Quando una persona fa un bene a un'altra persona, non può rimproverarsi il bene che ha fatto, ma deve dire: "Signore, Ti ringrazio che mi hai dato la possibilità di fare il bene", deve ringraziare anche la persona che le ha permesso di fare il bene. 
È un bene per l'una e per l'altra. Sempre si deve ringraziare Dio, quando si incontra la possibilità di fare del bene.Così penso che dobbiamo essere tutti, e in particolar modo coloro che vogliono dedicarsi all'Opera della Madonna, altrimenti non ha valore. Se il Signore vorrà ci saranno sacerdoti, ancelle riparatrici, laici che si dedicheranno al servizio dell'Opera e alla diffusione della devozione del Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime.Se volete accettate queste mie povere parole perché sono utili per la salvezza della nostra anima. Se non vi sentite, non abbiate timore perché la Madonna e Gesù vi ameranno lo stesso. Io ho avuto sofferenze e gioie e ne ho ancora: ristoro all'anima mia. Rinnovo il mio amore per tutti. Vi assicuro che non abbandono nessuno, voglio a tutti bene e anche quando sarò dall'altra parte continuerò ad amarvi e a pregare per voi. Vi auguro che siate felici così come sono io con Gesù e la Madonna.