Padre Andrea Mandonico ci racconta la grande figura di Charles De Foucauld

14.05.2022

Domenica, 15 maggio 2022, Papa Francesco canonizzerà il Beato Charles De Foucault, il fratello universale. Frate Carlo è stato uno dei personaggi che il Papa ha preso come riferimento per la stesura della Lettera Enciclica "Fratelli Tutti". Lettoriescrittori.it, per celebrare questo singolare evento, ha intervistato Padre Andrea Mandonico, vice postulatore per la causa di Charles De Foucauld. Padre Andrea, anche con gli innumerevoli impegni di questi giorni, ha donato alla nostra Redazione parole che toccano il cuore e rimangono come una vivida testimonianza per noi e per i nostri lettori.




di Francesco Domina©

Insegnante e Scrittore

Si occupa di Teologia, Religioni, Letteratura, Tecnologia...

Agiografia (lo studio della vita, del culto e delle opere dei Santi)

Proprietà letteraria riservata:

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La sera del 10 maggio, martedì sera, ho aperto l'email di lettoriescrittori.it, il nostro blog.  Ho subito notato una mail con un titolo quasi ad effetto: possibile intervista a...

Nel messaggio mi si riferiva che, a motivo della canonizzazione del beato Charles De Foucauld, Padre Andrea Mandonico, vice-postulatore della causa di canonizzazione di Charles De Foucault, che accompagnava Pierre Sourisseau, archivista della causa, e grande studioso del nuovo santo, si trovava a Roma ed era possibile intervistarlo.

Pierre Sourisseau, che ha 85 anni, ha dedicato oltre trent'anni allo studio della vita del nuovo santo e ha scritto una sua biografia molto dettagliata ed esaustiva, premiata in Francia ed edita nella versione italiana dalle Edizioni Effatà, partendo dagli scritti di Padre Charles e dai documenti della causa di canonizzazione.

Il volume è molto corposo, più di settecento pagine, e raccoglie una miniera di informazioni relative alla vita e alla spiritualità del nuovo santo. Arricchisce il testo la prefazione di Padre Bernard Ardura, postulatore della causa di canonizzazione del futuro santo.


Anche Padre Andrea Mandonico, vice postulatore della causa di canonizzazione, è un grande studioso della figura del Beato Charles De Foucauld ed ha scritto due testi, uno dei quali ha ricevuto anche un premio, su frate Carlo:


INTERVISTA


Gentilissimo Padre Andrea,

la Redazione di lettoriescrittori.it la ringrazia di cuore per aver accettato di rispondere alle domande di questa intervista. Fin dal primo contatto telefonico lei si è dimostrato una persona estremamente disponibile e gentile, anche con tutti gli impegni che in questi giorni si trova ad affrontare a causa della canonizzazione del Beato Charles De Foucauld che avverrà domenica 15 maggio.

Charles De Foucauld è stato un ricercatore della verità, un esploratore di territori impenetrabili. Egli è passato attraverso le tappe di un mondo lontano dalla presenza di Dio, da una mondanità ad un cambiamento interiore che lo ha portato ad essere un vero amante di Dio e dell'umanità intera, fratello universale, come è stato chiamato.

Padre Andrea chi era Charles prima di diventare Padre Charles De Foucauld?


Sarebbe una lunga storia ma mi limito a due o tre tappe significative:

a. È stato un bambino ferito dalla morte di entrambi i genitori nel giro di pochi mesi (1864).

b. È stato un ragazzo costretto a lasciare la sua città con la perdita della guerra contro la Prussia (1870).

c. Per far fronte a questi drammi, s'immerge in una vita mondana gaudente e di disordine che però lo lascia insoddisfatto, perdendo pure la fede: 

«Rimasi dodici anni senza niente negare e senza niente credere, disperando della verità e non credendo nemmeno in Dio, perché nessuna prova mi pareva abbastanza evidente».

 Nel 1876, seguendo la tradizione di famiglia, intraprende la carriera militare, entra all'Accademia di Saint-Cyr e poi alla Scuola di Cavalleria di Saumur. 

Alla fine della sua formazione militare è inviato in Algeria, ma subito dopo il suo arrivo fu collocato in riserva dalla vita militare per indisciplina e cattiva condotta morale. Pochi mesi dopo questa poco dignitosa uscita dall'esercito, chiese di rientrarvi, per condividere l'avventura dei suoi commilitoni, impegnati a sedare una rivolta. Si rivelò un'altra persona: «In mezzo ai pericoli e alle privazioni delle colonne, questo letterato gaudente si rivelò un soldato e un capo». 

Terminata questa campagna, dà le dimissioni per compiere, a rischio della propria vita, un viaggio d'esplorazione in Marocco, in quel tempo chiuso agli europei. Esplorazione scientifica, che descriverà nel libro "Reconnaissance au Maroc, 1883-1884" e gli otterrà la gloria riservata agli esploratori del XIX° secolo.

Basilica dell'Annunciazione a Nazareth (in ebraico: בזיליקת הבשורה)
La spiritualità di Nazareth sarà molto cara a Fra Carlo
(foto: particolare della città - web)


Charles nasce in un una famiglia cristiana, benestante, ma a soli sei anni farà l'esperienza della solitudine e del dolore a causa della morte dei genitori e verrà affidato al nonno materno. La famiglia, nell'esistenza travagliata del giovane Carlo, avrà un ruolo molto importante.

Charles è un grande viaggiatore. Egli scrive: "Detesto la vita in guarnigione... preferisco di gran lunga approfittare della mia giovinezza viaggiando; in questo modo almeno mi istruisco e non perdo il mio tempo".

Il viaggio e la scoperta di nuovi popoli e culture influiranno sulla formazione del giovane. Egli amava leggere ma viene introdotto ben presto alla carriera militare e diviene anche ufficiale, tuttavia egli non sopporta le regole che questo tipo di vita impone. In una ricognizione in Marocco è costretto a vestirsi da ebreo.

Che cosa accade dopo questa esplorazione?


Nell'esplorazione del Marocco (1883-1884) vedendo la fede dei musulmani, rinasce in lui il desiderio di ricercare l'Assoluto di Dio. Aiutato dalla bontà e dall'amicizia discreta della cugina, Marie de Bondy, riscopre, alla fine d'ottobre 1886, la fede cristiana, recandosi al confessionale dell'abbé Huvelin nella Chiesa di Sant'Agostino a Parigi. Si era recato per chiedere informazioni sulla fede, l'abbé Huvelin, lo fa inginocchiare, confessarsi e lo manda a ricevere l'Eucaristia.

Non sappiamo cosa si sono detti: né Ch. De Foucauld, né l'abbé Huvelin hanno mai rivelato questo. Ma senz'altro la grazia di Dio è stata potente ed efficace. Completamente rinnovato da questa conversione, Fratel Carlo comprese allora che "non poteva fare altrimenti che vivere per Dio" al quale vuole consacrare tutta la sua vita e così "esalarsi in pura perdita di sé davanti a Dio".

Frate Carlo


Nell'ottobre del 1885 il futuro santo si converte nella Chiesa di S. Agostino a Parigi. Dopo la sua conversione si dedica totalmente a Dio e a Gesù. In un primo tempo come monaco trappista e poi come eremita a Nazaret. Quando Charles sente pregare i musulmani, i Tuareg, i beduini del deserto, percepisce nuovamente un contatto con la trascendenza: impara da loro quasi a recuperare la sua fede battesimale.

Che cosa accade nel cuore di Charles?

Charles è stato in contatto con popoli di religione islamica, molto diversi da noi. 

Egli, però, si è avvicinato alla cultura dell'altro con rispetto e amore.

Quali sono le caratteristiche principali della spiritualità del Beato e futuro santo Charles De Foucauld? E in che cosa noi possiamo imitarlo?


L'abbé Huvelin lo invia a fare un pellegrinaggio in Terra Santa (1888-1889). "Camminando lungo le strade di Nazaret su cui si posarono i piedi di Nostro Signore, povero artigiano", scopre il mistero di Nazaret che sarà d'ora in poi al cuore della sua spiritualità. Per questo entra alla Trappa prima in Francia e dopo qualche mese sarà inviato in una Trappa in Siria, dove rimarrà per 7 anni lasciandosi formare alla scuola monastica e cercando l'imitazione la più perfetta di Gesù. 

Ma non trovandovi la radicalità che desiderava, lascia la Trappa per andare a vivere a Nazaret, come domestico delle Clarisse (1897-1900). Qui, egli vuole imitare nel suo stile di vita, materiale e spirituale, la vita nascosta vissuta da Gesù, la sua esistenza "umile e oscura di Gesù operaio a Nazareth", ed essere il suo "piccolo fratello", vivendo immerso nell'adorazione eucaristica, passando ai piedi del tabernacolo lunghe ore durante il giorno e la notte, e nella meditazione appassionata del Vangelo. Per questo accetta di diventare prete, a quarantatré anni, per vivere la vita di imitazione di Gesù "fra gli uomini più malati, le pecore più abbandonate" e povere. 

Fratel Carlo vuole andare ad annunciare e a far conoscere Gesù a coloro che gli hanno fatto intravedere, quindici anni prima, il Dio grande ed unico, ai suoi fratelli del Marocco. E così nel 1901 Charles De Foucauld parte in Algeria, prima a Beni-Abbés (1901-1905) e poi a Tamanrasset (1905-1916). E qui morirà il 1° dicembre 1916, ucciso da un giovane di quindici anni, che lo sorveglia mentre i suoi compagni saccheggiavano casa sua.

Fra Carlo vive povero tra i poveri


Si dice che Fratel Carlo sia divenuto il profeta della fraternità universale. 

Che cosa vuol dire? Può spiegarci il significato di questa espressione?


Cosa significa per Fratel Carlo essere "fratello universale?". Dopo che papa Francesco l'ha citato come uno degli ispiratori della sua Enciclica "Fratelli Tutti" (n. 286-287), nel mondo ecclesiale sta crescendo sempre di più la sua conoscenza e domenica prossima lo stesso Papa Francesco lo dichiarerà Santo.

Fr. Carlo, giungendo in Algeria, sente che amare Gesù significa diventare fratello di tutti, soprattutto di coloro che non conoscono il Signore Gesù: 

"Voglio abituare tutti gli abitanti, cristiani, musulmani, giudei, a guardarmi come il loro fratello, il fratello universale". 

Accogliendo in modo particolare i più poveri, perché in essi Gesù è vivente: 

"È Gesù che è in questa dolorosa situazione: ciò che fate a uno di questi piccoli, è a me che lo fate". 

Conosce la popolazione del luogo e ne condivide la vita, incarnandosi nella loro storia, affinché il Vangelo di Gesù fosse conosciuto. Qui, povero tra i poveri, per fedeltà alla sua vocazione di imitare la vita nascosta di Gesù a Nazaret, Fratel Carlo di Gesù si fa piccolo tra di loro per rivelare il volto di Dio: 

"Non con le parole, ma con la presenza del SS Sacramento, l'offerta del divin sacrificio, la preghiera, la penitenza, la pratica delle virtù evangeliche, la carità, una carità fraterna e universale, condividendo fino all'ultimo boccone di pane con ogni povero, ogni ospite, ogni sconosciuto che si presenti e ricevendo ogni uomo come un fratello benamato", raccogliendo per iscritto la loro cultura, perché ne restasse memoria storica.

Padre Charles De Foucauld 

a Tamanrasset nel 1907 (foto:web)


Oggi gli uomini stanno cercando di costruire un mondo senza Dio, escludendo le categorie che appartengono al trascendente, riducendo tutto alle sfera materiale e trascurando quella spirituale. Anche Fratel Carlo ha vissuto un'esperienza simile. 

In che modo egli si è posto di fronte a questa realtà?

Qual è l'eredità che ci lascia oggi Padre Charles De Foucauld?


In un mondo diviso, dove si parla di globalizzazione ma in realtà ci si allontana sempre di più gli uni dagli altri, essere 'fratello universale' è una intuizione importante per noi cristiani e per tutti gli uomini e donne di buona volontà. È una vocazione a incarnare l'amore e il servizio tra gli umili e i poveri con l'amicizia e la testimonianza silenziosa, condividendo la loro situazione sociale, il lavoro, le relazioni...

1. Fr. Carlo ci può aiutare a capire che oggi vivere l'universalità non è perdersi ma ritrovarsi, arricchirsi: è addirittura un'esigenza vitale in un mondo in cui non ci sono più distanze... si tratta di vivere ogni relazione come un cammino di amicizia che ci rivela la fraternità. Lasciare le nostre frontiere e avventurarci su terreni sconosciuti. Lottare insieme contro esclusione, violenza e emarginazione... Essere fratello universale significa essere fratello di tutti, "senza eccezione o distinzione", cioè senza escludere nessuno, attenti a quello che l'altro ha di buono, "ma mettendoli in fiducia, [...] come un amico, stabilendo con essi delle relazioni di fiducia e d'amicizia". Dobbiamo assumere lo stesso stile di Fr. Carlo e tessere rapporti di amicizia senza paura e senza alzare mura o ostentare crocifissi su bandiere e stendardi, ma caso mai fare memoria dei crocifissi della storia, della fede, dono gratuito, immenso, ricevuto con la conseguente responsabilità di condividerlo "gridando il Vangelo con la vita".

Di conseguenza riuscire a guardare nel volto il proprio fratello, sguardo che disarmerà facilmente le nostre tensioni, le nostre paure, le nostre aggressività e che ci aiuterà a superare le nostre divisioni per costruire insieme un mondo di fratelli. Quando Fr. Carlo scrive di vedere in ogni uomo un fratello, non resta a livello intellettuale, ma subito tira tutte le conseguenze pratiche. La verità intuita lo tocca nel cuore e non lo lascia insensibile. Tre parole della Scrittura l'hanno impressionato; le cita nel regolamento : "Voi avete un solo padre che è nei cieli", gli farà vedere l'umanità come la grande famiglia dei FD, e quindi tutti fratelli; "Dio creò l'uomo a sua immagine", che gli farà vedere in ogni umano "una immagine di Dio; "tutto quello che farete a uno di questi piccoli, lo fate a me" parola che va al di là delle altre due, poiché non solo i 'piccoli' sono dei fratelli e immagine di Dio, ma "sono il tesoro dei tesori: Gesù stesso". 

Egli può aiutarci a far sì che anche il nostro modo di relazionarci agli altri diventi più umano, sacramento della tenerezza che esiste all'interno della Trinità. Rispettare in ogni essere umano la sua dignità, qualsiasi sia la sua condizione e mai giustificare nessuna discriminazione, ne ingiustizia... capacità di amare con un cuore aperto (= universale) ogni uomo, chiunque egli sia, vedendo in lui, Gesù.

Secondo il Vangelo l'accoglienza del fratello - in specie del fratello bisognoso di cibo e bevanda, di vestito, di salute, di patria, di libertà, ecc. - è una specie di «sacramento», ossia segno visibile e luogo vivo concreto di accoglienza di Cristo stesso. Come non ricordare quanto scriveva a L. Massignon il 1° agosto 1916:

"Pensate molto agli altri, pregate molto per gli altri. Consacrarvi alla salvezza del prossimo con i mezzi che sono in vostro potere, preghiera, bontà, esempio, ecc... è il modo migliore di provare alla Sposo divino che voi l'amate: "Tutto quello che fate a uno di questi piccoli, è a me che lo fate..." l'elemosina materiale che fate ad un povero, è al creatore dell'Universo che la fate; il bene che fate all'anima di un peccatore, è alla purezza increata che lo fate...; Dio ha voluto che fosse così per dare a questa carità per il prossimo, di cui ne ha fatto il 2° dovere "simile al 1°" una vera similitudine con il primo dell'amore di Dio... Non c'è, credo, parola di Vangelo che abbia fatto su di me una più profonda impressione e trasformato di più la mia vita che questa : "Tutto quello che fate a uno di questi piccoli è a me che voi lo fate". Se si pensa che queste parole sono quelle della Verità increata, quelle della bocca che ha detto "questo è il mio corpo... questo è il mio sangue" con quale forza si è portati a cercare e a amare GESU' in "questi piccoli", questi peccatori, questi poveri..."[1].

Facciamo attenzione che la motivazione che spinge Fr. Carlo ad accogliere l'altro è ancora una volta il Vangelo preso alla lettera. È la parola di Gesù che lo ha aperto all'amore universale ed è ancora questa parola che lo spinge ad impegnarsi con forza per difendere i diritti dei più poveri. Il suo sguardo, plasmato dalla Parola, vede Gesù che soffre e muore in ogni uomo oppresso e perseguitato. È l'amore universale che si cala nel particolare, con realismo e concretezza.

Vorrei inoltre sottolineare una virtù rara oggi ma che mi sembra importante e anche facile da mettere in pratica. 

Al n. 48 della Fratelli Tutti, Papa Francesco scrive: "Il mettersi seduti ad ascoltare l'altro, caratteristico di un incontro umano, è un paradigma di atteggiamento accogliente, di chi supera il narcisismo e accoglie l'altro, gli presta attenzione, gli fa spazio nella propria cerchia. Tuttavia, «il mondo di oggi è in maggioranza un mondo sordo [...]. A volte la velocità del mondo moderno, la frenesia ci impedisce di ascoltare bene quello che dice l'altra persona. E quando è a metà del suo discorso, già la interrompiamo e vogliamo risponderle mentre ancora non ha finito di parlare. Non bisogna perdere la capacità di ascolto». San Francesco d'Assisi «ha ascoltato la voce di Dio, ha ascoltato la voce del povero, ha ascoltato la voce del malato, ha ascoltato la voce della natura. 

E tutto questo lo trasforma in uno stile di vita. Spero che il seme di San Francesco cresca in tanti cuori». Da parte sua Fr. Carlo ha saputo ascoltare i Tuaregs. Lo ha fatto studiando la loro cultura, i loro usi e costumi, la loro lingua per anni e con orari da ascesi. È interessante notare che Papa Francesco declina questo ascolto con tre verbi che sono fondamentali nello stringere amicizia: accogliere (129-130); proteggere (131-132) e integrare (133-135). 

Papa Francesco continua poi scrivendo: 

"L'unico modo di crescere per una persona, una famiglia, una società, l'unico modo per far progredire la vita dei popoli è la cultura dell'incontro, una cultura in cui tutti hanno qualcosa di buono da dare e tutti possono ricevere qualcosa di buono in cambio. L'altro ha sempre qualcosa da darmi, se sappiamo avvicinarci a lui con atteggiamento aperto e disponibile, senza pregiudizi". 

Fr. Carlo scriveva: 

"Avvicinarli, prendere contatto, stringere amicizia con loro, far cadere, mediante le relazioni giornaliere e amichevoli, le loro prevenzioni contro di noi; modificare, con la conversazione e l'esempio della nostra vita, le loro idee [su di noi]". 

 Mi sembra di poter affermare che Fr. Carlo è uno di quegli uomini dei quali si può dire, come massimo elogio, «che parla con tutti», che non fa distinzioni di persone, non solo quanto all'essere giusto e aperto, ma anche riguardo a quel genere di conversazione che riserviamo soltanto a chi consideriamo degno di amicizia.

2. Tessere pazientemente legami di amicizia. Negli scritti di Fr. Carlo l'aggettivo «universale» è legato a «carità, fraternità, fratello, amico». Come abbiamo visto, gli ultimi anni della sua vita sono caratterizzati dall'amicizia che si approfondisce con i Tuareg, dal conoscere e studiare il loro mondo, la loro cultura. Questa passione per la cultura dell'altro è una nota importante nella dimensione dell'universalità, è un modo per mettersi in ascolto della ricchezza altrui, un modo per entrare nella storia e nell'anima dell'amico. Posso conoscere l'altro se sono in un clima di fiducia, di non giudizio, di ascolto senza preconcetti, se coltivo in me il desiderio di tessere rapporti di amicizia: 

"Bisogna diventare l'amico sicuro, a cui si ricorre quando si è nel dubbio o nella pena, sull'affetto, la saggezza e la giustizia del quale si possa contare assolutamente. [...] La mia vita consiste dunque nell'essere il più possibile in rapporto con quelli che mi circondano, e nel rendere tutti i servizi che posso"[2].

Fr. Carlo sarà coerente e fedele fino alla fine all'amicizia intessuta con i Tuareg. Quando nel 1914 scoppia la Prima guerra mondiale, le conseguenze del conflitto si fanno sentire anche nel Sahara: alcune tribù tuareg si ribellano alla Francia. Fratel Carlo sa che rischia la vita ma sceglie di rimanere solidale del piccolo gruppo umano che lo ha accolto undici anni prima. La sua morte, il 1° dicembre 1916, violenta come quella di tanti altri in un contesto di guerra, è una testimonianza silenziosa della fraternità umana più forte di ogni nazionalismo e divisione.

3. Accogliere. Discepoli di Fr. Carlo facciamo nostro il carisma dell'accoglienza. Un'accoglienza colma di carità, di amore. Ecco perché non è possibile essere solo fratelli riuniti nell'amore attorno a Gesù e con Gesù, ma anche dei fratelli che fanno della carità, sia al suo interno che all'esterno, il comandamento supremo: 

"La carità che è il fondo della religione (il primo dovere è di amare Dio, il secondo, simile al primo, è di amare il prossimo come se stesso), obbliga ogni cristiano ad amare il prossimo, cioè ogni uomo, come se stesso, e perciò fare della salvezza del prossimo, come della propria, il grande compito della vita"[3].

Non basta però fare professione di fraternità universale, bisogna ancora imparare a vivere giorno dopo giorno questa fraternità, fino nel più profondo delle nostre radici. Accogliamo l'altro al livello dove viviamo noi stessi. Se viviamo superficialmente accogliamo l'altro superficialmente; se viviamo in profondità, là dove Dio ci abita, accogliamo l'altro in profondità, come fratello, figlio dello stesso Padre. Vivere la fraternità significa pure accogliere la differenza dell'altro, amarlo così come egli è, nella certezza che il volto diverso del fratello è segno dell'insondabile ricchezza del volto di Cristo. Solo mettendosi in una relazione di fraternità, che esclude ogni atteggiamento di colonizzazione antica e moderna, si può giungere a vivere veramente da fratelli, a mischiarci alla vita altrui e ad arricchirci della diversità dell'altro, camminando con lui, guardando insieme l'orizzonte non per scorgervi il tramonto, ma l'aurora di un mondo nuovo, suscitando speranza e coltivando insieme quella che nasce nel cuore di entrambi.

4. In cammino con Gesù. La fraternità evangelica non è soltanto una fraternità attorno a Gesù e con Gesù, ma una fraternità in cammino con Gesù. È una comunità in movimento, proiettata in avanti. Anche questa è una struttura costante di ogni fraternità che voglia essere evangelica. Le comunità sedentarie - semplicemente di mutuo aiuto - non hanno futuro: si sta invece insieme, e si condivide la vita, per seguire insieme lo stesso Maestro, conoscerlo, essere suoi missionari. Allora la nostra preoccupazione maggiore è proprio quella di creare comunione e fraternità. Si instaura così delle relazioni umane nuove, fatte di vicinanza, di fiducia, di reciprocità, di condivisione, di confronto e di responsabilità comune. Non si costruisce la comunione, la fraternità e la corresponsabilità sulla morte degli altri, ma piuttosto morendo a noi stessi per gli altri "a causa di Gesù e del Vangelo".

5. Annunciare il Vangelo attraverso una attitudine di dialogo

Certamente, annunciare il Vangelo è un tema frequente presso Fr. Carlo, durante tutta la sua vita. Ma è interessante notare che alla fine della vita, ha una concezione particolarissima di questo annuncio. Si potrebbe dire che per lui annunciare il vangelo, è entrare in dialogo con l'altro e il dialogo non è prima di tutto portare i miei argomenti per "piazzare i miei prodotti", se posso dire così, ma rispettare l'altro nel suo cammino, ascoltare ciò che ha da dirmi...

Su questo tema mi piace sempre citare la lettera di Fr. Carlo a Joseph Hours, un laico di Lione perché vi si trovano raggruppati molti tratti della maniera con la quale Fr. Carlo concepisce l'annuncio del Vangelo:

"Ogni cristiano deve dunque essere apostolo: non è un consiglio, è un comandamento, il comandamento della carità.

Essere apostolo, con quale mezzo? Con quelli che Dio mette a sua disposizione: i preti hanno i loro superiori che dicono loro quello che devono fare... 

I laici devono essere apostoli verso tutti quelli che possono raggiungere: i loro vicini e i loro amici prima, ma non solo loro, la carità non ha niente di stretto, abbraccia tutti quelli che abbraccia il CUORE di GESU' - Con quali mezzi? 

Con i migliori, visto a chi devono indirizzarsi: con tutti quelli con i quali sono in rapporto senza eccezione, con la bontà, la tenerezza, l'amore fraterno, l'esempio della virtù, con l'umiltà e la dolcezza, sempre così attraenti e cristiane; con alcuni senza dire mai una parola di Dio e della religione, pazientando come Dio pazienta, essendo buono come Dio è buono, amando, essendo un fratello affettuoso e pregando; con altri parlando di Dio nella misura in cui possono portarlo; quando hanno l'idea di ricercare la verità con lo studio della religione, mettendoli in rapporto con un prete scelto molto bene e capace di fare loro del bene... Soprattutto vedere in ogni uomo un fratello, - "voi siete tutti fratelli, voi avete un solo padre nei cieli" - vedere in ogni uomo un figlio di Dio, un'anima riscattata dal sangue di GESÙ; un'anima amata da GESÙ, un anima che dobbiamo amare come noi stessi e alla salvezza della quale dobbiamo lavorare"[4].

Essere apostoli senza mai parlare di Dio, bisogna farlo! Ma è la forte convinzione del "Foucauld dell'ultimo periodo", il Carlo che ha già lunghi anni di vita tra i Tuareg: è arrivato a questa certezza che deve rispettare i suoi vicini nelle loro convinzioni, camminare insieme a partire da comuni valori, camminare al loro passo e amarli. 

Quello che parla di Dio, è l'amore; quello che parla del Vangelo, è principalmente la vita evangelica... il dialogo è anzitutto il dialogo dell'amore offerto: "Soprattutto vedere in ogni uomo un fratello". Prima che io possa parlare loro di Dio, la gente vuole vedere il mio comportamento. Prima che io possa parlare loro di Dio, la gente aspetta che io li ascolti parlare di loro stessi.

6. È la vita evangelica che manifesta il meglio del Vangelo...

Quasi per caso mi è capitato sotto gli occhi un testo di Carlo meno conosciuto che trovo interessante. Carlo tra gli arabi e i Tuaregs ha cercato di adottare il più possibile lo stile di vita di questi con i quali viveva. Vi ricordate della formula: 

"E' buono d'abitare solo nel paese: c'è dell'azione, anche senza fare grandi cose, perché si diventa "del paese", si è accessibile e così "piccolino"!"[5].

Nelle fraternità c'è stato un momento dove si utilizzava molto questa espressione: 

"farsi arabi con gli arabi, operaio con gli operai", ecc.

La grazia di questo "accessibile e piccolino" è che metterà, lui Fr. Carlo, in una disposizione d'accoglienza per riconoscere e ricevere i segni dell'azione di Dio nel cuore della gente. Ma resta ben cosciente che da un certo lato, il vangelo gli porterà uno sconvolgimento nella scala dei valori e che bisognerà accettare di farsi carico di questo sconvolgimento.

"Cercare di farsi stimare da loro eccellendo in certe cose che essi stimano. Per esempio, essendo audaci, buoni cavalieri, buoni tiratori, di una liberalità un po' fastosa, ecc., o invece praticando il Vangelo nella sua abiezione e nella sua povertà, camminando a piedi e senza bagagli; lavorando con le proprie mani come GESÙ a Nazaret, vivendo poveramente come un piccolo operaio? ... Non è dai Chamba che dobbiamo imparare come vivere, ma da GESÙ. Non dobbiamo ricevere le loro lezioni ma darle. GESU' ci ha detto "Seguitemi"; San Paolo ci ha detto "Siate miei imitatori come io sono imitatore di Cristo". 

GESÙ conosceva il modo migliore per condurre le anime. San Paolo fu il suo incomparabile discepolo. Forse speriamo di fare meglio di loro? I musulmani non si sbagliano. Di un prete buon cavaliere, buon tiratore, ecc., dicono: "è un eccellente cavaliere, nessuno tira come lui" e se necessario aggiungono: "sarebbe degno di essere un Chambi..." Non dicono: "è un santo..." Che un missionario viva la vita di San Antonio nel deserto, tutti diranno: "è un santo...". Con la ragione naturale, daranno spesso la loro amicizia al primo, al Chambi; se danno la loro fiducia per quello che riguarda l'anima, non la daranno che al secondo"[6].

Certamente è questa una delle domande e tensioni come cristiani nel nostro mondo occidentale oggi, tensione e domande a più livelli. Essere completamente presenti e in dialogo con il mondo, riconoscerne onestamente i valori e condividere di buon cuore questi valori è molto importante e certamente indispensabile per essere credibili e ascoltati; e nello stesso tempo, in un mondo dove il Vangelo non è più un punto di riferimento, trovare le maniere di vivere, di fare e di dire che rendano conto del Vangelo senza nascondere gli aspetti che sono in contraddizione con "lo spirito del mondo" per dirla con S. Paolo... non è così semplice.

7. Pregare. Come Fr. Carlo chiedeva ai suoi corrispondenti, lo chiede a noi oggi di pregare poiché "E' lui [Gesù] che, eliminando ogni discriminazione di popoli, e radunando tutti da ogni nazione, forma di tante pecorelle un solo gregge santo. Così ogni giorno compie quanto aveva già promesso dicendo: 

"E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore" (Gv 10,16)" (S. Leone Magno).

[1] Aventure, 210.

[2] Citato da Aventure, 202.

[3] C. Lyon., 91.

[4] Lettera a Joseph Hours, Assekrem 3 maggio 1912.

[5] Lettera Mons. Guérin del 02.07.1907.

[6] Carnet de Beni Abbès, 19.06.1903.


Charles sentiva nel suo cuore la consapevolezza di essere un figlio ritornato tra le braccia del padre, perdonato. La forza e l'energia della sua dinamicità scaturivano quindi dalla coscienza e accoglienza di questo abbraccio.

Egli ha scelto non di aiutare i poveri ma di farsi povero in mezzo ai poveri. E' andato da coloro che non conoscevano il Vangelo ed è morto nel deserto senza discepoli.

Fratel Carlo si sentiva come il buon ladrone, che all'ultimo istante, con le sue grida, aveva strappato il Paradiso al cuore misericordioso di Cristo.

«Come credetti che c'era un Dio, compresi che non potevo far altro che vivere per Lui solo». (Charles De Foucault)

Prima dell'intervista lei mi ha accennato una frase di grande intensità e su cui siamo invitati tutti a riflettere: "Fratel Carlo è più famoso che conosciuto". E ancora: "Bisogna conoscerlo nell'ambiente in cui visse". Seguendo queste sue affermazioni credo che la figura del nostro caro Charles debba essere presentata anche e soprattutto ai giovani del nostro tempo perché è di grande attualità. Poiché, come dice il Maestro, "una lampada non può rimanere sotto il moggio ma deve far luce in tutta la stanza". È questo l'augurio che ci proponiamo anche con la pubblicazione di questo articolo...

Padre Andrea Domenica, 15 maggio, Padre Charles verrà proclamato santo dalla Chiesa Universale. Lei ha dedicato tanti anni di studio alla figura di questo grande personaggio, attraverso anche la scrittura dei suoi libri e gli innumerevoli incontri e conferenze che ha tenuto per far conoscere le gesta di questo piccolo ma grande uomo, un gigante di santità. Per tutto questo, noi tutti possiamo solo dirle una semplice, ma forte parola: "Grazie!".

Gent.mo Padre Andrea lettoriescrittori.it è un blog che nasce per parlare di speranza, La Speranza Cristiana che alimenta e riscalda il cuore di ogni credente.

Ogni giorno più di 300 persone visualizzano le pagine del nostro blog e accedono gratuitamente ai nostri servizi. Le chiedo, al termine di questa intervista, di affidarci, con tutti i nostri lettori, alla protezione del nuovo Santo: Fratel Carlo, il fratello universale, San Charles De Foucauld.


Padre Charles De Foucauld con i Tuareg, popolo del deserto (foto:  web)


ANDREA MANDONICO

1955, sacerdote (1982) della Società delle Missioni Africane (SMA), dottore in Teologia, è stato per anni ordinario di Teologia spirituale, Decano della facoltà di Pastorale e Catechesi e Direttore della Biblioteca, membro del Senato dell'Università Cattolica dell'Africa occidentale a Abidjan (Costa d'Avorio). È attualmente postulatore della causa di canonizzazione di PS Madeleine, Fondatrice delle Piccole Sorelle di Gesù, e vice postulatore per la causa di Charles De Foucauld, sul quale ha pubblicato saggi, traduzione e articoli. Dal 2015 è docente di studi interreligiosi alla Pontificia Università Gregoriana.


Per approfondire:


PIERRE SOURISSEAU

Licenziato in teologia, è referente esperto per la Famiglia spirituale di Charles de Foucauld. Da più di trent'anni archivista della causa di canonizzazione, scrive articoli e tiene conferenze sui molteplici aspetti della figura del beato Charles de Foucauld.



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Il nostro articolo è stato pubblicato nella Rivista (pp. 18-25) dell'Eremo di Santa Maria Maddalena di Adelano di Zeri (Italia), sia in lingua italiana che in lingua francese. Un grazie di cuore a fr. Cristiano di Gesù, vero discepolo di San Francesco e di Padre Charles  De Foucault.


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